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Genetica 2
DNA
Negli anni Quaranta era già noto da tempo che i cromosomi sono composti da proteine e acidi nucleici. A quel tempo, tuttavia, non tutti gli scienziati erano d’accordo su quale di questi due tipi di molecole fosse responsabile della conservazione e della trasmissione dell’informazione genetica. Nel 1944 il batteriologo canadese Oswald Theodore Avery, con un esperimento di fondamentale importanza condotto sui batteri, assegnò questo ruolo all’acido desossiribonucleico (DNA). In quegli anni si conosceva, inoltre, la composizione chimica del DNA, che era costituito da subunità, chiamate nucleotidi, a loro volta formate da un gruppo fosfato, uno zucchero (il desossiribosio) e una delle quattro basi azotate adenina (A), timina (T), guanina (G) e citosina (C). Nel 1953 il biochimico statunitense James Watson e il biofisico britannico Francis Crick, in base ai risultati di esperimenti di cristallizzazione e di diffrazione ai raggi X, elaborarono un modello tridimensionale del DNA. Secondo l’ipotesi di questi due scienziati la molecola di DNA è composta da due lunghi filamenti avvolti l’uno sull’altro come in una doppia elica o in una lunga scala a pioli. In base a questo modello i lati esterni della scala corrispondono a molecole di fosfato alternate a quelle di zucchero, mentre i pioli sono formati da coppie di basi azotate. Ciascuna base è attaccata a una molecola di zucchero presente lungo il filamento e forma un legame idrogeno con una base complementare sull’altro filamento. I legami che si possono formare sono tra l’adenina e la timina e tra la guanina e la citosina.
Duplicazione del DNA
La duplicazione del DNA avviene prima di ogni divisione cellulare, in modo che le cellule figlie ricevano ciascuna una copia fedele del patrimonio genetico parentale. Per costruire una copia della molecola di DNA, i due filamenti della doppia elica
si despiralizzano e si separano a livello dei legami tra le basi; a questo punto ciascun filamento funziona da stampo per l’assemblaggio di due nuovi filamenti complementari. Si formano, così, due nuove doppie eliche, ciascuna costituita da un filamento vecchio e da uno nuovo (per questo motivo la reazione di duplicazione viene detta semiconservativa). Ciascun filamento di DNA è circa 100.000 volte più lungo del cromosoma che lo contiene. Ciò è dovuto alla condensazione della molecola di DNA, che si avvolge su particelle proteiche, chiamate nucleosomi, appena visibili con i più potenti microscopi elettronici. A sua volta, la struttura formata dal DNA e dai nucleosomi si avvolge ulteriormente su se stessa più volte, fino a raggiungere lo stato di condensazione tipico del cromosoma.
Il DNA e la sintesi delle proteine
Dopo le scoperte di Beadle e Tatum e di Watson e Crick, rimaneva ancora da chiarire come il DNA potesse dirigere la costruzione delle proteine, i componenti principali della maggior parte delle strutture della cellula e le molecole fondamentali per lo svolgimento e la regolazione di quasi tutte le reazioni chimiche dell’organismo. La capacità di una proteina di essere parte di una struttura cellulare, o di agire come un enzima che catalizza una particolare reazione chimica, dipende dalla sua forma molecolare e, dunque, dalla sua composizione. Ciascuna proteina è costituita dall’unione di subunità, chiamate amminoacidi, in una o più catene polipeptidiche. Nelle cellule sono presenti venti tipi diversi di amminoacidi. Il numero, il tipo e la sequenza degli amminoacidi nella catena determinano la struttura e la funzione della proteina e sono a loro volta determinati dal gene codificante per quella specifica catena.
– Il codice genetico
Dal momento che si era dimostrato che le proteine sono determinate dai geni e che ciascun gene è composto da porzioni di filamenti di DNA, i ricercatori pensarono che dovesse esistere una corrispondenza tra la sequenza delle 4 basi azotate nel DNA e la sequenza dei 20 amminoacidi nelle catene polipeptidiche. In altre parole, doveva esistere un processo per trasferire l’informazione contenuta nei geni alle strutture cellulari responsabili della sintesi proteica. Siccome nel DNA compaiono solo 4 tipi di basi azotate diverse, mentre nelle proteine vi sono 20 amminoacidi, chiaramente non può valere la corrispondenza una base-un amminoacido (così le proteine potrebbero essere composte da soli 4 amminoacidi), né quella di una sequenza di due basi per amminoacido (così verrebbero specificati solo 16 amminoacidi). La sequenza minima che garantisce la determinazione di tutti gli amminoacidi presenti nelle proteine è data da combinazioni di 3 basi azotate, dette triplette o codoni, che costituiscono la base del codice genetico.
– Trascrizione
L’esistenza e il ruolo biologico del codice genetico furono dimostrati dieci anni dopo la pubblicazione del modello del DNA di Watson e Crick. La specificazione di un polipeptide da parte di una molecola di DNA avviene indirettamente, attraverso l’intermediazione di una molecola nota come RNA messaggero (mRNA). L’mRNA è una replica di una porzione di DNA, la quale si despiralizza e serve da stampo per la sintesi di questa molecola. Questo processo, chiamato trascrizione, è molto simile alla duplicazione del DNA, con la differenza che l’RNA come base complementare all’adenina (A) contiene uracile (U) al posto della timina (T).
– Traduzione
Mentre sta ancora avvenendo la trascrizione, l’mRNA inizia a staccarsi dal DNA. Al termine di questo processo, un’estremità del filamento della nuova molecola si inserisce, come il filo di una collana nella perla, in una struttura chiamata ribosoma. A mano a mano che il ribosoma scorre lungo l’mRNA, l’estremità del filamento si inserisce in un secondo ribosoma, poi in un terzo e così via. I ribosomi sono strutture di RNA e materiale proteico, deputate alla sintesi delle proteine. Con l’uso di microscopi elettronici ad altissima risoluzione è possibile fotografare le molecole di mRNA attaccate ai ribosomi. Un insieme di ribosomi legato a una molecola di mRNA è detto poliribosoma o polisoma. Scorrendo lungo la molecola di mRNA, il ribosoma “legge” la sequenza delle basi azotate sull’mRNA. Questo processo prende il nome di traduzione e coinvolge un terzo tipo di molecola di RNA, chiamata RNA transfer (tRNA), che da una parte porta una tripletta di nucleotidi e dall’altra un amminoacido specifico, corrispondente alla tripletta. La tripletta di ciascun tRNA aderisce alla molecola di mRNA quando vi trova una tripletta complementare. Ad esempio, la sequenza uracile-citosina-uracile (UCU) sul filamento dell’mRNA viene occupata dal tRNA contenente la tripletta adenina-guanina-adenina (AGA). In contrapposizione alla tripletta dell’mRNA, che si chiama codone, quella del tRNA prende il nome di anticodone.
Gli amminoacidi portati dal tRNA nella sequenza specificata dall’mRNA vengono, quindi, legati l’uno all’altro sui ribosomi, a formare una nuova catena polipeptidica. Una volta terminata, la catena polipeptidica si libera dal ribosoma e assume la sua forma tridimensionale specifica, determinata dalla sequenza degli amminoacidi. La forma di un polipeptide e le sue proprietà chimico-fisiche, entrambe determinate dalla sequenza amminoacidica, sono responsabili dell’eventuale unione di questa molecola ad altre catene polipeptidiche, nonché della funzione della proteina nell’organismo.
– Differenze tra procarioti ed eucarioti
Nei procarioti, in cui il cromosoma è libero nel citoplasma, la traduzione può iniziare anche prima che la trascrizione sia terminata. Negli eucarioti, invece, i cromosomi sono isolati nel nucleo, mentre i ribosomi si trovano nel citoplasma, così la traduzione dell’mRNA nella proteina corrispondente può iniziare solo una volta che l’mRNA prodotto nel nucleo viene trasferito nel citoplasma. Un’altra peculiarità dei geni degli eucarioti è la presenza di sequenze di nucleotidi codificanti (esoni), interrotte da sequenze non codificanti (introni) che in alcuni casi possono essere anche cinquanta o più. Durante la trascrizione, gli introni vengono copiati insieme agli esoni su una molecola di mRNA molto grande; poi vengono eliminati da speciali enzimi nucleari e gli esoni vengono uniti l’uno all’altro in una sequenza continua, prima che l’mRNA passi nel citoplasma.
Sebbene il significato della presenza degli introni nei geni degli eucarioti non sia ancora del tutto chiaro, alcuni ricercatori ritengono che la loro esistenza permetta una serie di combinazioni di frammenti genici che andrebbe ad aumentare il numero delle possibili proteine prodotte dall’organismo. Secondo questa ipotesi, cioè, i geni degli eucarioti sarebbero costituiti da un numero relativamente basso di strutture modulari, gli esoni, in grado di combinarsi in modi diversi per dare luogo a una vastissima gamma di geni e, di conseguenza, a una grandissima varietà di strutture proteiche. Inoltre gli introni e altre sequenze non codificanti sono probabilmente coinvolti nella regolazione della quantità di polipeptidi prodotti dai geni. La scoperta degli introni fu resa possibile dai metodi di determinazione della sequenza dei nucleotidi nelle molecole di DNA e RNA, sviluppati dal biologo molecolare Frederick Sanger. Studi sulle molecole del DNA hanno anche dimostrato la presenza, sempre negli eucarioti, di sequenze ripetute numerose volte nel materiale genetico. Alcune di queste codificano per l’RNA ribosomale, mentre altre non hanno alcuna funzione nota. Fra queste vi sono sequenze, detti trasposoni o elementi trasponibili, che sembrano in grado di saltare da una posizione all’altra di uno stesso cromosoma o dell’intero genoma.
Regolazione genica
Quasi tutte le cellule di un organismo derivano per divisione cellulare da un unico zigote e contengono un identico corredo genetico. Ciononostante, le proteine sintetizzate, ad esempio, dalle cellule del tessuto muscolare non sono necessariamente le stesse di quelle prodotte nel tessuto nervoso o in quello osseo. In altre parole, non tutti i geni del patrimonio genetico vengono espressi in tutti i tessuti dell’organismo. Quest’espressione differenziale è regolata in modo complesso da processi descritti per la prima volta da Jacques Monod e François Jacob nei batteri. Questi processi coinvolgono la presenza di sequenze regolatorie in prossimità o all’interno dei geni, le quali vengono riconosciute da specifiche molecole proteiche, con funzioni di inibizione o di attivazione della trascrizione dell’mRNA e dunque dell’espressione genica.
Eredità citoplasmica
Oltre al nucleo, alcuni altri costituenti della cellula contengono DNA. Fra questi vi sono organelli citoplasmatici come i mitocondri (i produttori di energia più importanti della cellula) e i cloroplasti delle piante (responsabili della fotosintesi clorofilliana). Questi organelli si riproducono in modo indipendente dalla cellula in cui si trovano e il loro DNA si duplica analogamente a quello nel nucleo; la maggior parte delle proteine di questi organelli è, tuttavia, codificata nel materiale genetico nucleare. Il codice genetico mitocondriale è molto simile a quello nucleare. Apparentemente queste porzioni di DNA citoplasmatico vengono più spesso ereditate dalla madre che non dal padre (nel caso di Homo sapiens esclusivamente dalla madre), poiché i gameti maschili (spermatozoi) in genere contengono meno materiale citoplasmatico di quelli femminili (cellule uovo). Altri casi di eredità apparentemente materna sono dovuti alla trasmissione di virus presenti nel citoplasma della cellula uovo.
Mutazioni
Sebbene la duplicazione del DNA sia molto accurata, essa non è sempre perfetta. Raramente capitano, infatti, degli errori, per cui il nuovo frammento di DNA contiene uno o più nucleotidi diversi dall’originale. Questi errori, o mutazioni, possono avvenire in qualunque punto del DNA: se avvengono in una sequenza di DNA codificante per un particolare polipeptide, nella catena polipeptidica si può avere la variazione di un singolo amminoacido o anche un’alterazione più grave della proteina risultante. L’anemia falcemica è, ad esempio, causata da una mutazione genetica che determina la sintesi di una molecola di emoglobina mutante, la quale differisce dalla forma normale per un singolo amminoacido. Quando una mutazione avviene nel patrimonio genetico dei gameti, essa può essere trasmessa alle generazioni successive. Il primo a parlare di mutazioni fu, nel 1901, il botanico olandese Hugo De Vries, che insieme ad altri ebbe anche il merito di riportare alla luce il lavoro di Mendel. Nel 1929 il biologo statunitense Hermann Joseph Muller osservò che i raggi X possono fare aumentare grandemente la frequenza delle mutazioni. In seguito, la lista delle sostanze mutagene si allargò ad altre forme di radiazioni, alle alte temperature e a un gran numero di composti chimici. La frequenza di mutazione aumenta, inoltre, quando alcuni geni che codificano per fattori proteici responsabili della fedeltà della duplicazione del DNA o della correzione degli errori sono a loro volta mutati. Altri fattori che possono causare mutazioni sono i trasposoni.
– Mutazioni genetiche
La maggior parte delle mutazioni geniche è silente e non produce alcuna variazione osservabile a livello fenotipico. Raramente le mutazioni causano, invece, effetti a livello cellulare, che possono alterare in modo drammatico le funzioni generali dell’organismo. Le mutazioni non silenti compaiono generalmente in alleli recessivi e quindi i loro effetti nocivi non sono espressi se non sono presenti due alleli mutati contemporaneamente, cioè se l’individuo non è omozigote per la mutazione. Questo accade più frequentemente nei casi di inincrocio, cioè nell’accoppiamento di organismi strettamente imparentati, che possono aver ereditato lo stesso gene mutante recessivo da un comune antenato. Per questa ragione le malattie ereditarie sono più frequenti nei bambini i cui genitori sono cugini o parenti stretti, che non nella popolazione umana generale.
Mutazioni cromosomiche
La sostituzione di un nucleotide con un altro non è il solo tipo di mutazione possibile. Talvolta un nucleotide può andare perso completamente o ne può essere acquisito uno nuovo. Inoltre, possono avvenire cambiamenti più drammatici ed evidenti, come le alterazioni di forma o di numero di cromosomi. Una porzione di cromosoma può, ad esempio, staccarsi, girarsi e quindi riattaccarsi al cromosoma nello stesso punto: questa mutazione è detta inversione. Se il frammento staccato si unisce a un differente cromosoma o a una parte diversa dello stesso cromosoma, la mutazione viene chiamata traslocazione. Talvolta, un membro di una coppia di cromosomi omologhi perde un frammento di cromosoma, che viene guadagnato dall’altro membro; si dice allora che una copia ha una delezione e l’altra, una duplicazione. Le delezioni sono in genere letali negli omozigoti e spesso lo sono anche le duplicazioni. Le inversioni e le traslocazioni hanno, invece, effetti meno deleteri, sebbene possano comportare mutazioni all’interno dei geni in cui è avvenuta la rottura del cromosoma. La maggior parte di questi riarrangiamenti cromosomici è la conseguenza di errori avvenuti durante il crossing-over.
Un altro tipo di mutazione avviene quando una coppia di cromosomi omologhi non si separa alla meiosi. Questo può produrre gameti, e quindi zigoti, con cromosomi sovra e sottonumerari. Gli individui con un cromosoma in più sono detti trisomici e quelli in cui manca un cromosoma, monosomici. Entrambe le situazioni possono dare luogo a gravi malattie genetiche. Ad esempio, chi è affetto dalla sindrome di Down è un soggetto trisomico, cioè porta in tutte le cellule dell’organismo tre copie anziché due del cromosoma 21. Se alla meiosi non avviene la separazione dell’intero corredo cromosomico, viene prodotto un gamete con un numero di cromosomi doppio del normale. Se questo gamete si unisce a uno con un numero normale o doppio di cromosomi, la discendenza avrà rispettivamente tre o quattro set di cromosomi omologhi invece di due. Gli organismi con corredi cromosomici sovrannumerari sono detti poliploidi. La poliploidia è il solo processo conosciuto, con cui si possano originare nuove specie in una singola generazione. Poliploidi vitali e fertili si trovano quasi esclusivamente negli organismi ermafroditi, come la maggior parte delle angiosperme e alcuni animali invertebrati. Le piante poliploidi sono in genere più grandi e più resistenti dei loro normali antenati diploidi. Nell’uomo compaiono talvolta feti poliploidi, che, tuttavia, muoiono ai primi stadi di sviluppo e sono, quindi, abortiti.
Genetica delle popolazioni
La genetica delle popolazioni è una disciplina, fondata da Godfrey H. Hardy e Wilhelm Weinberg, che studia come i geni sono distribuiti nelle popolazioni di organismi. In particolare essi sono responsabili della formulazione della legge di Hardy-Weinberg per determinare la frequenza di due alleli in una popolazione. I due alleli A e a vengono descritti dalle frequenze p e q, la cui somma dev’essere uguale a uno (p + q = 1). In base a questa legge, le frequenze dei tre genotipi AA, Aa e aa nella generazione successiva a quella in esame saranno rispettivamente p2, pq2 e q2. La legge di Hardy-Weinberg vale, tuttavia, solo se la popolazione è in equilibrio genetico, cioè se sono soddisfatte le seguenti condizioni: la popolazione è isolata, cioè non è soggetta a emigrazione, né a immigrazione; l’accoppiamento tra i membri della popolazione avviene in modo casuale; le probabilità di riproduzione e sopravvivenza sono pari per tutti gli individui, cioè la popolazione non è soggetta alle forze della selezione naturale; non si verificano mutazioni; la popolazione è molto numerosa.
Ereditarietà nell’uomo
Le caratteristiche fisiche dell’uomo sono per lo più influenzate sia da variabili genetiche multiple, sia da fattori ambientali. Il peso delle due componenti può essere diverso a seconda del carattere considerato. Caratteristiche come l’altezza hanno, ad esempio, una componente genetica relativamente importante, mentre altre, come il peso corporeo, sono determinate anche dalla componente ambientale. Caratteri come i gruppi sanguigni e gli antigeni responsabili del rigetto degli organi trapiantati sono determinati esclusivamente dalla componente genetica, poiché non si conosce alcuna condizione ambientale che possa cambiare queste caratteristiche. Una componente genetica sembra, inoltre, avere un ruolo nella patogenesi di malattie come la schizofrenia, l’ipertensione e alcune forme di cancro. Gli alleli responsabili della maggior parte delle malattie genetiche rare sono recessivi. Il genoma umano contiene da 50.000 a 100.000 geni, di cui si stima che circa 4000 possono essere correlati a malattie. Nel 1990 è stato avviato il Progetto Genoma Umano, che si pone l’obiettivo di caratterizzare l’intero patrimonio genetico della specie umana. Questo gigantesco sforzo viene ripartito tra numerosi laboratori che lavorano contemporaneamente in tutte le parti del mondo ed è reso possibile dalle tecniche di ingegneria genetica e di biologia molecolare che negli ultimi anni hanno conosciuto un grande sviluppo.
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