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L’arcobaleno si origina quando i raggi del sole attraversano una quantità consistente di gocce d’acqua, di dimensione opportuna, sospese nell’aria. È per tale ragione che è frequente vederlo nei pressi delle cascate, dove vengono continuamente alimentati dagli spruzzi.
Affinché l’arcobaleno appaia ai nostri occhi bisogna che i raggi solari, che arrivano paralleli sulle gocce, vengano riflessi. Più precisamente, i raggi sono prima rifratti all’interno della goccia, passando dall’aria all’acqua, poi parzialmente riflessi dalla superficie della
goccia verso l’interno della stessa e, infine, rifratti di nuovo dall’acqua in aria. La doppia rifrazione e la riflessione avvengono ad angoli fissi e determinati.
La forma dell’arcobaleno è curva, per meglio dire circolare, perché soltanto da quell’arco che vediamo ‘illuminarsi’ le gocce indirizzano i raggi riflessi verso il nostro punto d’osservazione col giusto angolo. La porzione di cerchio che si colora ai nostri occhi dipende da tre fattori: la nostra posizione (se siamo al suolo, potremo vedere al massimo metà cerchio); l’altezza del sole sull’orizzonte (più è basso, più grande può essere l’arcobaleno); infine, la grandezza della ‘nube’ di gocce presenti in aria: se è irregolare l’arco appare e scompare qua e là, a volte con interruzioni bizzarre.
E che dire degli arcobaleni doppi? In quel caso, di angoli particolari ne entrano in gioco due, il secondo è determinato da un’ulteriore riflessione dei raggi solari all’interno delle gocce, come in un flipper microscopico.
Angela Galloro
Fonte: Cervino Marco, Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, Bologna-CNR
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