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Una decisione pilatesca degna di un governo della prima repubblica e ingiustificabile per un governo di tecnici». Il Wwf è stato di una severità estrema nei confronti del Consiglio dei ministri che l’altra notte, dopo una riunione fiume, ha preso una controversa decisione a proposito di un’opera ancora più controversa, quale il ponte sullo Stretto di Messina. In sostanza il governo ha deciso di non decidere: l’intento, come era del tutto evidente, sarebbe stato quello di dire un secco no alla faraonica impresa voluta da Berlusconi, ma questo avrebbe comportato il pagamento di una congrua penale di 300 milioni alle imprese coinvolte nel progetto. E dato che quei milioni in cassa non ci sono, si è rinviato tutto di due anni, con la formula (scusa? pretesto?) di valutare meglio la «fattibilità» e la «bancabilità». In sostanza se il gioco valga la candela e se ci siano effettivamente i soldi da investire in cotanta impresa. Il tutto annunciato con parole di velluto – beninteso – affidate ad un comunicato ancora più morbido e sinuoso. Che non è servito, comunque, a rabbonire le organizzazioni ambientaliste da sempre contrarie alla infrastruttura. «Il governo deve bloccare subito tutto, senza rinvii», dice Legambiente, tanto più che «si tratta di un’opera tecnicamente irrealizzabile e dai costi insostenibili». Il leader dei Verdi Angelo Bonelli ne fa anche una questione di opportunità politica: «Com’è possibile che un governo che taglia i fondi per l’assistenza ai malati di Sla, non cancelli immediatamente un’opera che costerà 8,5 miliardi e che rappresenta la sagra dello spreco e dell’inutilità». Nichi Vendola è netto: «Una decisione sbagliata. Anzi, una non decisione». Altrettanto netto ma di segno opposto, l’ex ministro Altero Matteoli: «Se torna il centrodestra, l’opera si farà». Il governo, per la verità, aveva pensato in un primo tempo a tagliare corto con un no al ponte, punto e basta, se non ci fosse stato quel problemino delle penali da pagare. Tant’è che nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre scorso, nella legge di stabilità, aveva inserito una norma secondo la quale al «fondo per lo sviluppo e la coesione» era stata assegnata «una dotazione finanziaria aggiuntiva di 300 milioni di euro per l’anno 2013 per far fronte agli oneri derivanti da transazioni relative alla realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale». L’allegato tecnico precisava che si trattava «in particolare delle penalità contrattuali per la mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina». Ma poi quei soldi sono serviti per aggiustare la legge di stabilità, e sul Ponte urgeva trovare un diversivo. Tuttavia, se nei prossimi due anni non si giungesse a una soluzione tecnico-finanziaria sostenibile, scatterà «la revoca dell’efficacia di tutti i contratti in corso tra la concessionaria Stretto di Messina spa e il contraente generale (Eurolink – ndr), con il pagamento delle sole spese effettuate e con una maggiorazione limitata al 10%. Quella del Ponte è ormai una telenovela che va avanti dal 1981 ed è costata quasi 300 milioni di euro solo per studi e interventi preliminari. Secondo una stima della Corte dei Conti, 200 milioni se ne sono andati solo tra il 2001 e il 2006. Quanto al costo del manufatto è lievitato negli anni. Nel 2003, per esempio, il Cipe aveva deliberato un costo di 4,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno aggiunti i lavori preliminari, gli oneri finanziari, gli adeguamenti dell’inflazione e si arriva così a 6,3 miliardi. Iniziano poi gli espropri dei terreni e i relativi contenziosi, il ponte non esiste ancora neppure come progetto definitivo, ma già si sa che il costo sarà di almeno 8,5 miliardi. Troppi. Si comincia a capire che il passo è più lungo della gamba e, nonostante Berlusconi abbia fatto di quest’opera la bandiera della sua azione di governo, già nel 2011 si capisce che inizia la ritirata: la Commissione europea non inserisce il Ponte tra le opere prioritarie del periodo 2014-20 e il governo italiano stesso gira una quota del finanziamento al trasporto pubblico locale. A Dicembre di quell’anno si insedia il governo Monti e nel gennaio successivo il Cipe dirotta la somma di 1,6 miliardi, destinati al Ponte, ad «altri cantieri». Nel giugno scorso, infine, il ministro Corrado Passera conferma che l’opera non è tra le priorità. L’altra notte la scelta di un ennesimo rinvio.
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