Schistosomiasi, la cura arriva dal CNR
Ne soffrono circa 200 milioni di persone nelle zone più povere del mondo e i suoi effetti sono così gravi e diffusi che la schistosomiasi è considerata seconda solo alla malaria tra le malattie parassitarie. Una nuova speranza per la cura potrebbe essere data dall’oxamnichina. Studi avanzati sul farmaco hanno infatti dimostrato che potrebbe rappresentare l’alternativa al metodo chemioterapico con cui la patologia viene tuttora trattata. A scoprirlo i ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr), in collaborazione con un team internazionale. Lo studio è in corso di pubblicazione su Science ed è stato segnalato in anticipo su ScienceExpress.
Nonostante fosse stata abbandonata perché attiva solo contro una delle due specie del parassita, ossia lo Schistosoma mansoni, l’oxamnichina aveva dato ottimi risultati anche in precedenza e da questi si è ripartiti per una ricerca più approfondita. “Lo studio ha preso l’avvio da informazioni particolarmente preziose fornite dall’analisi genetica di ceppi diversi di parassiti, di cui uno sensibile all’oxamnichina e altri due altamente resistenti”, spiega Donato Cioli, coautore dello studio e ricercatore Ibcn-Cnr. “Gli incroci tra questi hanno infatti dimostrato che la resistenza era dovuta alla mutazione recessiva di un gene autosomico, che abbiamo interpretato come indicativo dell’esistenza di un fattore, probabilmente un enzima, che era necessario per ‘attivare’ l’oxamnichina”. La sua individuazione ha necessitato di molte analisi e solo “ulteriori studi biochimici hanno portato a concludere che l’enzima in questione doveva essere una solfotrasferasi”, prosegue Cioli.
“Sebbene il sequenziamento dell’intero genoma di Schistosoma mansoni abbia mostrato come esistessero almeno una dozzina di geni che rispondevano alle caratteristiche individuate, la scelta di quello coinvolto è stata possibile grazie a una collaborazione internazionale”. Un’équipe di ricercatori americani, avvalendosi della mappatura genetica dello Schistosoma, è riuscita a “individuare inequivocabilmente nei nostri ceppi sensibili e resistenti, il singolo gene responsabile dell’attivazione del farmaco”. Ciò è stato confermato tramite l’inibizione delle funzioni del gene con il meccanismo dell’interferenza dell’Rna. Inoltre, con l’ausilio della cristallografia a raggi X, sono stati determinati la struttura dell’enzima e mappato il sito a cui si lega l’oxamnichina. “Dati che suggeriscono un passo avanti per la cura della malattia”, conclude il ricercatore, “e che aprono la strada alla possibilità di disegnare razionalmente nuovi farmaci che siano in grado di legarsi anche all’enzima delle altre specie di Schistosoma, fornendo così una valida alternativa all’unico farmaco oggi utilizzato”.
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