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Il lungo bagliore nei raggi X proveniente dall’ammasso galattico Abell 1795 registrato dal telescopio spaziale Chandra della NASA sarebbe stato l’ultimo atto della fine di una stella, dilaniata da un buco nero di massa intermedia. In uno dei due team che hanno condotto le ricerche, guidato dall’italiano Davide Donato, hanno partecipato anche ricercatori dell’INAF.
Immagine composita nei raggi x (celeste) e nella luce visibile dell’ammasso di galassie denominato Abell 1795. Nel riquadro è indicata l’area dove il telescopio spaziale Chandra ha osservato l’apparizione e lascomparsa, nel 2005, del bagliore nei raggi X associato alla distruzione di una stella da parte della forza gravitazionale esercitata da un buco nero di massa intermedia, come si vede nei due pannelli in basso a sinistra. Crediti: nei raggi X, NASA/CXC/Univ. of Alabama/W.P.Maksym et al & NASA/CXC/GSFC/UMD/D. Donato, et al; nella banda ottica, CFHT
Una sorgente di raggi X si accende misteriosamente nel cielo e dopo qualche anno, altrettanto misteriosamente, scompare. Il luogo è una galassia nana distante circa 800 milioni di anni luce da noi, che fa parte del gigantesco ammasso di galassie Abell 1795. Un ‘caso’ complicato per i due team di astronomi che hanno studiato il fenomeno e che, indipendentemente, sono giunti alle stesse conclusioni: il lungo lampo di raggi X, che è stato monitorato in più occasioni dal telescopio orbitante Chandra della NASA tra il 1999 e il 2005, altro non era che l’estremo segnale di una drammatica fine, quella di una stella avvicinatasi troppo a un buco nero e disintegrata dalla sua immane forza di attrazione gravitazionale.
Un evento non troppo raro nell’universo: sono già noti infatti altri candidati episodi di distruzione stellare dovuta a buchi neri. A renderlo comunque eccezionale è però il fatto che sarebbe il primo ad essere stato osservato all’interno di una galassia di taglia relativamente piccola, che contiene circa 700 milioni di stelle. In paragone la Via Lattea ne possiede oltre cento miliardi. Questo implica che il buco nero responsabile del misfatto non sarebbe così massiccio come quelli supergiganti delle galassie ordinarie, ovvero con masse di milioni o miliardi di volte quella del Sole, ma ‘appena’ alcune centinaia di migliaia. Si collocherebbe quindi tra quelli di taglia stellare (dell’ordine di 10 masse solari) e, appunto , quelli ‘extralarge’. Categoria molto interessante per astronomi, che potrebbe rappresentare i progenitori di quelli supermassicci. Scoprire oggetti celesti di questo tipo potrebbe rivelarci come si sono evolute le prime galassie all’alba dell’universo.
“Gli scienziati sono alla ricerca di questi buchi neri di massa intermedia per decenni”, sottolinea l’italiano Davide Donato, in forza al Goddard Space Flight Center (GSFC) della NASA a Greenbelt, negli USA, che ha guidato uno dei due team coinvolti nello studio. “Finora abbiamo raccolto molte informazioni su quelli piccoli e quelli molto grandi, ma quelli intermedi sono difficili da caratterizzare”.
Individuare il colpevole sarebbe stato pressoché impossibile se in questo caso gli scienziati non avessero avuto una grande quantità di osservazioni della stessa regione di cielo ripetute su un ampio intervallo di tempo, proprio come quelli di Chandra relativi all’ammasso Abell 1795, poiché quell’oggetto celeste viene puntato abitualmente dall’osservatorio orbitante per calibrare i suoi strumenti.
“La stella distrutta dal passaggio troppo ravvicinato al buco nero è inosservabile, ma la liberazione di energia durante la sua distruzione invece lo è. E lo studio dell’emissione osservata, la sua intensità ed evoluzione con il tempo, ha permesso di associarla in maniera convincente ad un fenomeno di distruzione mareale (tidal disruption, in inglese), escludendo altri fenomeni di interazione tra buco nero e materia per spiegare quanto osservato” dice Stefano Covino, dell’INAF, che insieme ai colleghi Sergio Campana e Dino Fugazza hanno collaborato con Donato allo studio, in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal.
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