Lunedì, 3 Marzo, 2014
In generale, per trovare una soluzione alle tensioni in Crimea non c’è molto che al momento le organizzazioni internazionali possano fare. Soprattutto, non si può dire che si tratti del tutto di una “cosa da NATO”, e questo nonostante la Nato abbia sempre dimostrato un’elevata sensibilità politica nei confronti dell’Ucraina, istituzionalizzando (membreship esclusa) le loro relazioni in maniera continuativa: l’Ucraina è entrata a far parte della Partnership for Peace già nel 1994, e nel 1997 NATO e Ucraina hanno firmato l’accordo di Distinctive Partnership che ha previsto l’istituzione di una commissione bilaterale permanente e l’assistenza della NATO a Kiev nell’ambito di un programma di confidence building e di assistenza tecnico- militare.
Per capire cosa realmente può fare la Nato, infatti, non è importante soffermarsi sugli strumenti potenziali, perché la considerazione e premessa fondamentale di partenza è che l’Occidente deve stare molto attento ad evitare qualsiasi provocazione nei confronti di Mosca che tocchi la concezione russa sicuramente novecentesca, ma profondamente radicata nella cultura e nella popolazione, di interesse nazionale e di sfera d’influenza sull’ex impero sovietico. Poiché dati i legami storici, geopolitici e culturali, l’Ucraina non è percepita da Mosca come “politica estera”, ma come qualcosa di molto più vicino e di quasi “nazionale”, per gestire la crisi in Crimea un intervento militare della Nato sarebbe una follia, e anche le cose che la Nato può fare (che sono quelle che sta già facendo, come il Consiglio speciale di domenica scorsa e il tentativo di avviare negoziazioni), devono puntare a mantenere un senso dell’equilibrio che miri a trovare un compromesso con la Russia e non lo scontro.
Ispi
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