Onco/ematologia

SALUTE: CARDIO-ONCOLOGIA, CURARE IL TUMORE SENZA DIMENTICARE IL CUORE

Con l’aumento dei tassi di guarigione e il prolungamento della sopravvivenza nei malati di tumore può associarsi nel tempo l’emergere di complicanze cardiovascolari.
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Per questo i ricercatori stanno lavorando all’individuazione di markers che possano aiutare a identificare i pazienti con rischio cardiovascolare più elevato. Intanto gli specialisti di cardio-oncologia mettono a punto una strategia per fasce di età a base di terapie meno a rischio cardiovascolare, monitoraggio cardiaco e attività fisica. 

Curare il tumore non vuol dire rischiare un giorno la vita per il cuore”. Il Prof. Giorgio Minotti, Responsabile dell’Unità Operativa di Farmacologia clinica del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, sintetizza così i risultati dell’International Colloquium on Cardio-Oncology, organizzato dallo stesso Policlinico del Campus Bio-Medico di Roma .

 Farmaci antitumorali, terapie salvavita che determinano inevitabili effetti collaterali, in particolare al cuore e al sistema circolatorio. E poi stabilire quando un farmaco possa definirsi cardiotossico, ma anche come trattare un paziente con tumore in cui sia presente una ‘fragilità’ cardiocircolatoria e la costituzione di equipe di cardiologi, oncologi e ricercatori per individuare markers che possano aiutare nella predizione del rischio cardiovascolare in pazienti oncologici. Ecco le strategie su cui si sono confrontati i maggiori esperti mondiali in materia.

 Il problema della cardiotossicità dei trattamenti antitumorali non va enfatizzato ma nemmeno sottovalutato”, spiega Minotti, che cita anche uno studio statunitense condotto sui bambini oncologici, nei quali a circa 20 anni dai trattamenti si rivelavano problemi cardiovascolari rilevanti, sette volte superiori all’incidenza nella popolazione normale. “Ma qualunque sia la preoccupazione e la dimensione del rischio cardiovascolare – aggiunge – il trattamento oncologico resta irrinunciabile, purché sia il migliore e più efficace in rapporto alle condizioni del paziente”.

Condizioni che variano con l’età. Da qui l’esigenza – rimarcata un po’ da tutti gli esperti – di definire una strategia di prevenzione del danno cardiocircolatorio che varia rispetto alle tre diverse fasce di età. Nei bambini, per i quali il problema sono le ricadute a lungo termine, la strategia migliore è l’adesione a programmi di monitoraggio cardiocircolatorio prolungati nel tempo e condotti da specialisti, che sappiano cogliere tempestivamente le prime manifestazioni di eventi avversi. Negli adultispiega Minotti – è necessario spingere sul trattamento oncologico, ma limitando le terapie a maggior rischio di complicanze, come quelle a base di beta-bloccanti e ace-inibitori”. Tutto ciò, raccomandano gli specialisti, riprendendo al più presto l’attività fisica e sottoponendosi a controlli cardiologici periodici, ma non ossessivi. Negli anziani occorre tenere presente, infine, la fragilità del paziente oncologico, “che non significa rinunciare al farmaco anti-tumorale, ma escludere le terapie più a rischio, come le antracicline, che andrebbero al limite somministrate a dosi frazionate”, spiega sempre il docente, secondo cui ancor più nella terza età è necessario un assiduo controllo medico.

 La ricerca sta profondendo un impegno sempre maggiore per realizzare farmaci ‘intelligenti’, cioè modellati sulle caratteristiche delle cellule tumorali. Nonostante questo, però, un certo rischio cardiovascolare rimane dietro l’angolo. Gli esperti non hanno alcuna intenzione di diffondere allarmismi ingiustificati. Anche se – affermano – non bisogna nemmeno sottovalutare il problema: almeno inizialmente, nei tempi immediatamente a ridosso della terapia, non sarebbe male cercare piccole anomalie asintomatiche, che con il tempo maturano verso eventi più significativi. Di conseguenza, bisogna muoversi in equilibrio tra allarmismo e sottovalutazione, dato che il rischio cardiovascolare può manifestarsi lentamente. “Èquindi necessario che chi si prende cura di questi pazienti li controlli con prudenza e per decenni”, prosegue Minotti.

 D’accordo con questa conclusione il Prof. Steven E. Lipshultz, docente alla Miller School of Medicine dell’Università di Miami. “Identificare i fattori che possono aumentare la suscettibilità verso la cardiotossicità – sottolinea – è fondamentale, specie nei ragazzi e nei giovani sopravvissuti a un tumore. Non tutti, infatti, reagiscono in ugual modo all’utilizzo di dosi simili, ad esempio di antracicline. Il che sembra indicare la possibilità di una predisposizione genetica. Il nostro obiettivo sarà massimizzare l’efficacia di tali farmaci, riducendo i loro effetti tossici”.

 Sulla stessa linea la Prof.ssa Flora E. van Leeuwen, docente al Netherlands Cancer Institute di Amsterdam. Parlando del trattamento del linfoma di Hodgkin mediante radioterapia, ha spiegato che “la tossicità cardiovascolare in quest’ambito è un importante effetto collaterale, ma non è ancora chiara la soglia di radiazioni oltre la quale si genera. È stato verificato, però, che le moderne tecniche radioterapiche consentono una preservazione più accurata della funzionalità cardiaca.Sarà importante fare attenzione ai loro sviluppi futuri”.

 I partecipanti riuniti al Convegno hanno sottolineato anche gli interrogativi ancora aperti che la cardio-oncolgia deve affrontare. “Nonostante i progressi nelle conoscenze, non esiste ancora una definizione di cardiotossicità. Tutto ciò pone problemi anche nella pianificazione del trattamento, poiché la valutazione del rischio-beneficio tra terapia del tumore e rischi cardiovascolari non è sempre facile. In questa valutazione, deve rimanere ferma la consapevolezza che i farmaci antitumorali sono comunque salvavitaai quali non si può rinunciare e neppure si possono decidere per eccesso di cautela riduzioni di dosi o modifiche di schemi terapeutici approvati internazionalmente. Si tratta quindi di garantire la somministrazione di farmaci salvavita e fare quanto di meglio perché il paziente sia protetto dalla possibile insorgenza di eventi cardiovascolari”.

 In questa direzione, i ricercatori stanno lavorando all’individuazione di markers che possano aiutare a identificare i pazienti con rischio cardiovascolare più accentuato. “Abbiamo acquisito nozioni grazie alle quali, in futuro, potremo realizzare screening che ci aiutino a prevedere chi potrebbe subire danni cardiovascolari post-terapia oncologica. Questo dimostra che la cardio-oncologia è una disciplina sufficientemente complessa da non poter essere confinata nell’ambito cardiologico e oncologico, perché le nozioni ottenute sono il risultato del lavoro svolto anche da genetisti, epidemiologi, ricercatori di laboratorio. Vi è quindi bisogno di una multidisciplinarietà e da questa collaborazione potrebbe giungere la soluzione per diagnosi più precoci, farmaci meno tossici, oppure cardioprotettivi, nonché per valutazioni più precise dei pazienti a rischio”, conclude Minotti.

Università CAMPUS BIOMEDICO DI ROMA