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I dati sulle diverse tipologie di contratti di lavoro
Si è svolta presso la XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati l’Audizione dell’Isfol nell’ambito dell’esame del disegno di legge 34/2014 “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”.
Nel corso dell’incontro il presidente Varesi ha illustrato un’ampia documentazione statistica, messa a disposizione dei commissari, partendo dall’analisi degli andamenti relativi al contratto a termine. La riforma Fornero (l. 92/2012) sembra aver innescato – sottolinea l’Isfol – un maggiore ricorso a questa tipologia contrattuale in termini relativi, cioè rispetto alle altre forme di contratto. L’incidenza del tempo determinato sul totale degli avviamenti è passata in pochi mesi dal 62,3% del II trimestre 2012 al 67,3% del IV trimestre dello stesso anno. Tale incremento ha riguardato in larga parte assunzioni di breve o brevissima durata, comunque inferiori ai dodici mesi. Parallelamente si è registrata, nello stesso periodo, una caduta dei contratti intermittenti e di collaborazione (rispettivamente -4% e -1,6%). Il fenomeno può essere interpretato come l’effetto “pulizia” operato dalla legge Fornero. Il contratto a tempo determinato emerge dunque, nel triste panorama dell’asfittico mercato del lavoro italiano, come un possibile punto di equilibrio tra la flessibilità richiesta dalle aziende e la tutela (in termini di salario e di protezione sociale) richiesta dai lavoratori.
Anche l’analisi dell’evoluzione fino al IV trimestre 2013 conferma un incremento dei contratti a termine con corrispondente caduta di altre forme di lavoro dotate di minori tutele e la concentrazione di tale incremento sui contratti di breve di durata.
Relativamente all’apprendistato, il numero di attivazioni di nuovi contratti ha registrato una progressiva e quasi ininterrotta tendenza alla diminuzione. Contrariamente alle aspettative, tale istituto non sembra aver incontrato il favore delle imprese ed appare lontano dal rappresentare il principale strumento di ingresso dei giovani al lavoro, com’era negli auspici della riforma Fornero. Oltre alla difficile congiuntura economica, un elemento che può aver contribuito a deprimere il ricorso all’apprendistato è legato all’aumento dell’utilizzo dei tirocini formativi, che hanno raggiunto quasi 50.000 unità e sono cresciuti nel corso del 2013 di circa 6.500 unità, confermando un trend avviato nel secondo trimestre 2012, a fronte di una riduzione di pari entità delle attivazioni in apprendistato. In particolare si registrano aumenti rilevanti dei nuovi tirocini nelle fasce di età alle quali è destinato il contratto di apprendistato: +3.000 nuovi tirocini circa nella classe di età fino a 24 anni e +2.330 nella classe compresa tra 25 a 34 anni. Il contesto recessivo può dunque aver generato una concorrenza tra istituti, orientando i datori di lavoro verso uno strumento, il tirocinio, di più facile utilizzo e di gestione più flessibile.
Al termine dell’audizione il presidente Varesi si è soffermato su alcune questioni particolarmente problematiche e ha indicato possibili soluzioni.
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