Lo studio del Bambino Gesù pubblicato su Genes & Nutrition. L’assunzione di bevande dolci fattore aggravante. Il ruolo dell’attività fisica determinante per contenere il problema .

La predisposizione genetica è centrale nell’insorgere di forme gravi di fegato grasso, una delle complicanze più diffuse dell’obesità. Lo dimostra, per la prima volta in campo pediatrico, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Bambino Gesù e pubblicato sulla rivista americana Genes & Nutrition. L’obesità è uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti. L’aumento del numero dei bambini con sovrappeso e obesità nei Paesi industrializzati ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica (NAFLD). Negli ultimi vent’anni infatti la steatosi ha raggiunto proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli diventando la patologia cronica del fegato di più frequente riscontro nel mondo occidentale. In Italia si stima che ne sia affetto circa il 15% dei bambini, ma si arriva fino all’80% tra i bambini obesi. Le caratteristiche di questa diffusa patologia vanno dall’accumulo di grasso in quantità superiore al 5% del fegato (steatosi epatica semplice) a forme più severe (steatoepatite non alcolica) che possono progredire sin dall’adolescenza verso la cirrosi epatica. Così come gli adulti, anche i bambini affetti da steatosi epatica non alcolica possono presentare danni metabolici caratterizzati da aumento della circonferenza addominale, ipertensione, insulino-resistenza, ipercolesterolemia, tutte condizioni che aumentano il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica o malattie cardiovascolari e che ne riducono le aspettative di vita come mai successo da prima del dopoguerra ad oggi. Lo studio del Bambino Gesù è stato condotto su un gruppo di 200 bambini e adolescenti italiani (10-13 anni, 113 femmine) con fegato grasso seguiti presso l’Ospedale tra gennaio e giugno 2013. Forme leggere, medie e gravi di fegato grasso erano presenti, rispettivamente, in 60 pazienti (30%), 87 (44%) e 51 (26%). L’indagine ha preso in considerazione fattori demografici, antropometrici, genetici e comportamentali. Il fattore determinante della steatosi epatica è risultato essere la mutazione del gene PNPLA3. La mutazione è stata riscontrata nel 60% dei pazienti che hanno preso parte allo studio. Nonostante nell’adulto alcuni studi abbiano associato l’insorgere del fegato grasso con un’alimentazione scorretta, la stessa correlazione non si è dimostrata determinante in campo pediatrico. Lo studio ha invece evidenziato un impatto prevalente della mutazione genetica nel determinare la gravità del fegato grasso, aggravato dall’assunzione di bevande zuccherate. Inoltre, il grado di attività fisica sembra avere un ruolo protettivo sulla severità della steatosi come già dimostrato in diversi studi nell’adulto. I ragazzi col gene mutato che svolgono almeno 3 ore a settimana di attività fisica riescono infatti a contenere il grado di severità del fegato grasso.
“Alla luce di queste evidenze sarebbe opportuno monitorare la popolazione pediatrica in sovrappeso e obesa al fine di identificare i piccoli che possiedono la mutazione oggetto dello studio. In questo modo sarà possibile aumentare il livello di attività fisica ed evitare il consumo di bevande zuccherate, di modo da tenere sotto controllo l’impatto che la mutazione ha sull’evoluzione della steatosi epatica. I risultati dell’indagine infatti possono essere utili non solo a identificare il bambino con rischio genetico, ma anche a predisporre diete “preventive” nei soggetti ad altro rischio. Grazie a uno specifico test in grado di individuare la mutazione genetica, si entra infatti nel campo della medicina predittiva, di quella branca cioè che si occupa di pervenire in modo scientificamente evidente la possibile insorgenza di una patologia nel futuro grazie all’identificazione degli elementi e delle condizioni che la determinano”.
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