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Dal 2011 a oggi, la guerra civile in Siria ha provocato la morte di circa 100-150 mila persone, gli attentati e le violenze in Iraq hanno prodotto circa 20 mila decessi e sono state uccise circa 2 mila persone nei disordini scoppiati in Libia dopo la caduta di Gheddafi.
Nello stesso periodo, in Brasile, sono state assassinate quasi 200 mila persone. Un tasso di omicidi tra i più alti del mondo, 27,5 morti ogni cento mila abitanti, secondo le stime del governo di Brasilia. È come se il Brasile fosse in piena guerra civile. Ma nessuno lo dice apertamente.
Guerra civile non dichiarata
Delle 50 città più violente della terra, 16 sono brasiliane, secondo uno studio realizzato dalla Ong messicana Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Justicia Penal. E questi dati potrebbero essere ancora più tragici. Lo studio, infatti, considera soltanto le città con popolazione superiore a 300 mila abitanti, escludendo completamente quelle più piccole del Nordest, dove la situazione è ancora più grave.
Questa condizione di violenza endemica non è una novità in Brasile. Da sempre gli omicidi sono un problema estremamente grave. Secondo la “Mappa della Violenza del 2013”, dal 2004 al 2007 sono state assassinate più persone in Brasile che nei 12 principali conflitti armati attualmente in corso nel mondo.
Nei quattro anni considerati, circa 206 mila brasiliani sono deceduti per morte violenta contro le 170 mila vittime dei conflitti in Iraq, Sudan, Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Sri Lanka, India, Somalia, Nepal, Kashmir, Pakistan e Israele-Palestina.
La situazione è drammaticamente peggiorata nei successivi cinque anni. Nel 2007 gli omicidi sono stati 47 mila, nel 2012 più di 56 mila. Dal 1980 al 2011, il numero di omicidi è quintuplicato, passando da 13 mila ad oltre 52 mila.
Cultura della violenza brasiliana
Il problema, indicato da tutti gli studi, è che esiste una vera e propria cultura della violenza in Brasile, molto radicata principalmente nei segmenti più poveri ed emarginati della società. Favelas in primis. Esiste una bassa capacità di negoziazione dei conflitti sociali e di convivenza. Di conseguenza, la violenza è frequentemente utilizzata per risolvere i problemi, anche i piú piccoli.
La maggior parte degli omicidi in Brasile, infatti, non sono legati al traffico di droga o ad altre attività criminali, ma a questo “culto della morte” che porta persone ad assassinare il proprio vicino di casa o uno sconosciuto con cui si ha una discussione in mezzo al traffico per futili motivi.
La quasi totale assenza del potere pubblico in vaste aree urbane e suburbane aggrava la situazione. A causa della mancanza di commissariati di polizia civile o caserme di polizia militare negli stati del Nordest o dell’interno del Brasile, i parenti di vittime di omicidi non hanno modo di rivolgersi alle autorità. Ci si fa quindi giustizia con le proprie mani.
La presenza abbondante di armi da fuoco contribuisce a peggiorare il problema. Non esistono statistiche pubbliche o private attendibili sul numero totale di armi da fuoco presenti sul territorio brasiliano. Si stima che ne circolino circa 20 milioni, la metà delle quali illegale. Per questo motivo il Brasile è il campione mondiale di omicidi commessi con armi da fuoco: circa 35 mila l´anno.
Salute pubblica in crisi
In Brasile la violenza appare dunque un fenomeno persistente e apparentemente indomabile, come accade in aree di guerra aperta. In molte regioni è come se ci fosse un conflitto a bassa intensità. Eppure, non esistono le aggravanti etniche, geopolitiche o religiose che sono all’origine dei conflitti in corso in Africa o in Medio Oriente.
L’elemento scatenante sembra essere la terribile condizione sociale, caratterizzata da differenze abissali di reddito e di qualità della vita tra le diverse fasce della popolazione. Anche se negli ultimi 30 anni il paese ha attuato imponenti programmi per la promozione sociale dei più svantaggiati, il numero di omicidi è continuato a salire.
L’enorme tasso di omicidi in Brasile è una questione di salute pubblica, una grave e continua violazione dei diritti umani, che opprime e sconvolge una società, famosa per la sua allegria e ospitalità. In particolare, le migliaia di giovani brasiliani uccisi ogni anno generano una sofferenza silenziosa e impotente non solo per i familiari, ma per intere comunità.
La violenza impedisce che una parte significativa dei giovani brasiliani possa godere dei progressi sociali ed economici raggiunti negli ultimi anni ed è causa di una tragica perdita di talenti, fondamentali per il futuro sviluppo del paese.
Carlo Cauti è giornalista del settimanale brasiliano “Veja”.
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