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La ricerca, che permetterà di sviluppare nuove strategie terapeutiche per arrestare o rallentare il decadimento provocato dalla malattia, è stata realizzata presso l’Istituto di neuroscienze (In-Cnr) di Pisa da due team: quello di Nicola Origlia e quello di Luciano Domenici ed è pubblicata sulla rivista Journal of Neuroscience
Il collegamento tra evento ischemico e degenerazione progressiva tipica dell’Alzheimer è al centro di un nuovo studio, frutto della collaborazione tra Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (In-Cnr) e Università dell’Aquila. Il lavoro, pubblicato sul ‘Journal of Neuroscience’, cerca di chiarire alcuni aspetti cellulari e molecolari, applicabili alle terapie per contrastare o rallentare la malattia.
“Negli ultimi anni si è dimostrato come l’incidenza di malattie neurodegenerative, tra cui l’Alzheimer, sia aumentata in presenza di patologie vascolari quali ischemia, vasculopatia diabetica, aterosclerosi, che portano ad un’ipoperfusione, cioè a una riduzione del flusso del sangue e, conseguentemente, ad una ipossia dei tessuti cerebrali”, spiega Nicola Origlia, coautore dello studio con Luciano Domenici, che dirige il gruppo di ricerca dell’In-Cnr. “Il progressivo deterioramento delle funzioni cognitive caratteristico della malattia di Alzheimer è in parte dovuto alla deposizione extracellulare della proteina β-amiloide (Aβ) che ostacola la funzionalità delle cellule nervose: in particolare, un’alterazione nel metabolismo provoca l’accumulo di Aβ in placche insolubili”.
Il team è riuscito a identificare alcuni meccanismi fisiopatologici in grado di definire un nuovo legame molecolare tra patologia vascolare e sindrome alzheimeriana. “Utilizzando un modello animale della malattia, basato sull’espressione delle mutazioni del gene della proteina precursore della amiloide che provocano la patologia umana, si è dimostrato come una condizione ischemica transitoria sia in grado di stimolare la produzione di Aβ”, continua il ricercatore dell’In-Cnr. “Si è inoltre capito che l’aumento della sostanza beta-amiloide induce l’attivazione del recettore Rage (molecola appartenente alla famiglia delle immunoglobuline) non solo sulla membrana delle cellule nervose, ma anche sulle cellule immunitarie residenti del cervello, ovvero le cellule microgliali, innescando un processo infiammatorio responsabile del peggioramento della funzionalità neuronale”.
Lo studio, seppur limitato ai modelli sperimentali, mette in evidenza alcuni possibili bersagli molecolari sui quali poter sviluppare nuove strategie terapeutiche finalizzate ad arrestare o rallentare il decadimento cognitivo associato all’Alzheimer. “Inoltre, secondo quanto riportato nello studio, il blocco del recettore Rage e delle molecole chiave coinvolte nel fenomeno infiammatorio (la interleuchina 1beta e le chinasi intracellulari p38Mapk e Jnk) è efficace nel ridurre gli effetti dannosi della ischemia”, conclude Origlia.
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