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Parkinson: scoperte le possibili terapie per le complicazioni motorie
La molecola più efficace per trattare la malattia è ancora la levodopa, che induce però effetti collaterali disturbanti come le discinesie, per motivi ancora oscuri. L’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Catanzaro, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia di Roma, ha svelato nuovi scenari neurobiologici, dimostrando l’efficacia della neurostimolazione. La ricerca è pubblicata su Brain
Lo scopo della terapia farmacologica della malattia di Parkinson è compensare il deficit di dopamina, il trattamento principale consiste nella somministrazione di levodopa, molecola che ha la funzione di aumentare la concentrazione di tale sostanza nel cervello, riducendone la tipica sintomatologia. Il primo periodo di trattamento viene definito honey-moon, perché la maggior parte dei pazienti vive la malattia senza particolari problemi, ma dopo circa 5-10 anni, nell’80% di questi pazienti, insorgono complicazioni motorie chiamate discinesie, caratterizzate da movimenti involontari che possono portare a gravi complicazioni, estremamente invalidanti, le cui cause sono ancora ampiamente oscure e la pratica clinica può intervenire solo modificando il dosaggio di levodopa.
I ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Catanzaro, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, hanno realizzato una ricerca per scoprire cosa accade nel cervello dei pazienti, prima e dopo l’assunzione di levodopa. Lo studio è pubblicato sulla rivista Brain.
“L’obiettivo del lavoro era scoprire quale alterazione funzionale si registra nel cervello dei parkinsoniani che soffrono di forti discinesie”, afferma Antonio Cerasa, ricercatore dell’Ibfm-Cnr. “Abbiamo compreso che la terapia con levodopa produce una disfunzione di uno specifico network cerebrale nella corteccia frontale inferiore, dove è localizzata una stazione criticamente patologica”. “A seguito di questa scoperta, si è provato a modulare l’attività disfunzionale di quest’area utilizzando la stimolazione magnetica transcranica”, prosegue Giacomo Koch del Santa Lucia. “Abbiamo così verificato che, inibendo l’attività di questa regione della corteccia prefrontale, è possibile ridurre sensibilmente la gravità delle discinesie”.
“Se saranno confermati i risultati di questo studio sperimentale, condotto utilizzando le più avanzate metodiche di neuroimaging e di neurofisiologia, potremo realizzare nuovi protocolli terapeutici in cui al trattamento farmacologico verrà abbinato un protocollo di neuro-stimolazione utile per ristabilire la funzionalità motoria dei pazienti, migliorando conseguentemente la loro qualità di vita”, conclude il responsabile dell’Ibfm-Cnr di Catanzaro Aldo Quattrone.
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