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Scoperto il gene che regola la capacità del tessuto adiposo di bruciare i grassi e consente di disperderli sotto forma di calore
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, è frutto di una ricerca interdisciplinare condotta da un gruppo internazionale coordinato da ricercatori dell’Università degli Studi di Milano.
#carloscreti Inattivando un gene (istone deacetilasi 3, HDAC3) che regola la struttura e la funzione di porzioni specifiche dell’informazione genetica, i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano hanno osservato uncambiamento radicale del metabolismo nel tessuto adiposo bianco, che rappresenta la sede principale per l’accumulo di grasso quale riserva di energia nei mammiferi.
L’inattivazione della istone deacetilasi 3 nel tessuto adiposo provoca infattil’aumento del metabolismo ossidativodei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule. La maggiore attività ossidativa dei mitocondri consente di “bruciare” in modo più efficiente i grassi accumulati in questo tessuto che gioca un ruolo fondamentale nell’obesità. Inoltre, in seguito all’inattivazione dell’istone deacetilasi 3, il tessuto adiposo bianco subisce una parziale trasformazione che permette di disperdere l’energia dai grassi sotto forma di calore, una caratteristica che lo rende più simile al tessuto adiposo bruno, il quale normalmente contribuisce a mantenere la temperatura corporea nei mammiferi soprattutto in risposta allo stimolo del freddo.
“Questi risultati mettono in luce nuovi meccanismi di regolazione delle cellule adipose. È interessante notare che secondo le nostre osservazioni l’istone deacetilasi 3 sembra agire come un ‘freno molecolare’ del metabolismo ossidativo che brucia i grassi nel tessuto adiposo bianco e impedisce la produzione di calore. Se riuscissimo a modulare questo ‘freno’ nel tessuto adiposo bianco potremmo trovare un modo per favorire la riduzione dei grassi accumulati e quindi il peso corporeo, soprattutto nei soggetti sovrappeso o obesi” – commenta Maurizio Crestani. “La comprensione dettagliata di questi meccanismi aprirebbe la strada alla messa a punto di nuove terapie per l’obesità, una patologia in forte aumento anche in Italia che ha gravissime conseguenze sulla salute e sulla qualità della vita e che aumenta il rischio di sviluppare altre patologie quali il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari ed i tumori”.
Lo studio, condotto dal gruppo guidato da Maurizio Crestani del Laboratorio “Giovanni Galli” di biochimica e biologia molecolare del metabolismo e di spettrometria di massa – Dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari della Statale di Milano, è stato condotto anche grazie al sostegno di Fondazione CARIPLO nell’ambito del Bando per il sostegno di progetti di ricerca sulle malattie legate all’invecchiamento e si è avvalso della collaborazione dei ricercatori dell’Università di Losanna (Svizzera), della Vanderbilt University a Nashville Tennessee (USA) e dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano.
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