Genetica

A cosa serve il DNA spazzatura?

 

Che cosa si intende per Dna spazzatura?

Il genoma umano, come quello di molte altre specie, serve a codificare, cioè viene ‘trascritto’ in RNA (acido ribonucleico) il quale a sua volta viene tradotto in aminoacidi, che danno la proteina finale. Ma questa funzione è compiuta da una piccola parte del nostro genoma, circa il 3-5%. Nasce dnque spontanea una domanda: cosa fa il restante 95%? È inutile? È un rimasuglio dell’evoluzione? È quindi un Dna ‘spazzatura’? I geni individuati che specificano proteine sono appena all’incirca 24mila, poco più di quelli di un moscerino, e tra l’altro la gran parte è in comune con altre specie, per non parlare dello scimpanzé che ha un genoma simile al nostro per il 98,6%. Si sapeva già che, oltre alla porzione che codifica per le proteine, vi erano altre 

funzioni svolte da sequenze di Dna: ad esempio, centromeri e telomeri sono indispensabili per la cellula. Ma la presenza di milioni di sequenze ripetute rimane di difficile spiegazione. Informazioni acquisite nel corso degli ultimi anni tuttavia fanno pensare che almeno una gran parte del nostro corredo genetico svolga un ruolo che solo ora cominciamo a comprendere. E’ ormai noto, per esempio, che numerose regioni del Dna sono trascritte in Rna che non viene tradotto, da cui cioè non derivano proteine, ma che contribuisce alla loro regolazione. Inoltre si ipotizza che molte sequenze ripetute siano utili durante le prime fasi dello sviluppo embrionale. Un’ipotesi estremamente interessante, ma che necessita di conferme, è che esse possano modificare il genoma delle singole cellule, consentendo una maggior variabilità tra gli individui. D’altronde sarebbe strano che l’evoluzione, sempre parsimoniosa, avesse mantenuto per milioni di anni strutture di nessuna rilevanza. In conclusione, il funzionamento del genoma è certamente più complesso di quello che sembrava inizialmente e, come spesso succede, la nostra ignoranza dei suoi meccanismi non deve farci giungere a conclusioni precipitose.

Matteo Selmi-CNR

Fonte: Paolo Vezzoni, Istituto di ricerca genetica e biomedica, Milano,