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Dal DNA di un pesce delle caverne indizi sul nostro passato
Cosa ci possono svelare un pesce cieco delle grotte, i dinosauri e la vulnerabilità umana alla radiazione solare?
Molto più di quello che si possa pensare, suggerisce uno studio svolto dall’Università di Ferrara in collaborazione con il Karlsruhe Institute of Technology (Germania) e pubblicato su Current Biology.
La ricerca ha individuato nel DNA di un pesce che vive nelle falde del deserto somalo preziosissimi indizi sulla storia evolutiva dei mammiferi.
“P. andruzzii, questo il nome scientifico del pesce, ci ha fornito una conferma importante per quella che viene definita la teoria ‘Nocturnal Bottleneck’”, spiega Cristiano Bertolucci del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife.
Secondo questa teoria, nell’era Mesozoica i mammiferi sono riusciti a sopravvivere al dominio dei dinosauri relegando le proprie attività nelle ore notturne. Vivere in condizioni di buio o di scarsissima luce per circa 160 milioni di anni, cioè per tutto il Mesozoico, ha permesso ai nostri antenati, i mammiferi placentati, di cui facciamo parte, di sfuggire ai grandi predatori e di evolversi fino ai giorni nostri.
Ma un prolungato periodo senza esposizione alla luce del sole lascia tracce, per esempio disattivando la capacità, che invece persiste in altri organismi come batteri e funghi, di riparare i danni al DNA causati dalle radiazioni solari. Proprio questo meccanismo è stato osservato nel pesce studiato.
“P. andruzzii è un animale ipogeo, vive cioè in ambienti sotterranei in condizioni estreme di buio assoluto, temperatura costante e scarsità di risorse. Negli ultimi 3 milioni di anni, si è evoluto adattandosi all’assenza di luce. Ha perso gli occhi, ha sviluppato albinismo e soprattutto ha perso la capacità di riparare i danni al DNA causati dalle radiazioni ultraviolette (UV) del sole”.
Questo quindi il nesso coi nostri antenati poiché, in effetti, gli unici vertebrati noti per questa stessa caratteristica sono proprio i mammiferi placentati. Una possibile conferma che anche i nostri antenati abbiamo trascorso lunghi periodi al buio per sfuggire alla minaccia dei dinosauri.
Questa scoperta e, in generale, gli studi su P. andruzzii possono avere ulteriori rilevanti ricadute per la materia: “Le caratteristiche genetiche dei pesci ipogei consentono di disporre di preziosissimi modelli “mutanti naturali” per analizzare meccanismi normalmente influenzati dalla luce solare, come l’orologio circadiano e la fotorecezione”.
Il team di ricercatori dell’ateneo ferrarese, di cui fanno parte anche Giuseppe Di Mauro, Pietro Negrini ed Elena Frigato, è supportato da finanziamenti Unife e dal “MIUR-DAAD Joint Mobility Program” per la mobilità accademica tra Italia e Germania.
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