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Elevati valori di ferro possono ridurre il rischio di Parkinson
Studio EURAC ribalta con una metodologia statistica una tesi sulla malattia
Fino ad oggi elevati valori di ferro erano considerati possibili fattori di rischio per l’insorgere del Parkinson. Studi medici sui pazienti avevano infatti riscontrato degli accumuli di ferro nelle zone del cervello colpite dalla malattia. Tuttavia, questa relazione non era mai stata pienamente confermata. Attraverso una metodologia statistica e utilizzando dati sui malati di Parkinson di tutto il mondo, un gruppo di ricercatori del Centro di Biomedicina dell’EURAC ha potuto acquisire nuove conoscenze sulla relazione tra ferro nel sangue e Parkinson. Lo studio ha suscitato grande interesse all’interno della
comunità scientifica internazionale.
“Il nostro studio mostra per la prima volta che elevati valori di ferro nel sangue possono ridurre le probabilità di ammalarsi di Parkinson e non costituiscono un fattore di rischio, contrariamente a quanto emerso dagli studi precedenti”, riassume Irene Pichler, ricercatrice al Centro di Biomedicina dell’EURAC. La ricerca raccoglie dati relativi a circa 22.000 persone sane residenti in Europa e Australia, tra cui anche i 1.300 venostani che nel 2002 hanno partecipato allo studio di popolazione MICROS. Dai loro campioni e dati sono state ricavate le tre più importanti varianti genetiche responsabili della produzione di ferro. A partire da questa base i ricercatori dell’EURAC si sono chiesti se gli alti valori di ferro nel sangue determinati da queste tre varianti genetiche siano legati alla malattia di Parkinson. La ricerca poggia su dati relativi a più di 20.000 malati di Parkinson messi a disposizione dell’EURAC da partner di ricerca internazionali.
I risultati ottenuti dal gruppo di ricerca bolzanino mostrano che le varianti genetiche, e quindi i livelli di ferro che queste regolano, hanno un effetto verificabile sull’insorgere del Parkinson: il rischio di contrarre la malattia diminuisce quanto più alto è il contenuto di ferro nel sangue. Più precisamente il rischio decresce del 3 per cento ogni 10 microgrammi di ferro per decilitro di sangue. “Gli studi sulla relazione tra i valori ematici stessi e il Parkinson non hanno portato finora a risultati decisivi”, spiega Irene Pichler. Per questo i ricercatori dell’EURAC hanno fatto ricorso a una metodologia statistica, la randomizzazione mendeliana, che non era mai stata utilizzata prima per lo studio del Parkinson. Il metodo consiste nell’indagare il nesso di causalità tra una malattia e i valori ematici determinati dalle varianti genetiche.
“Se le varianti genetiche che regolano i valori ematici hanno anche un effetto sul rischio di ammalarsi di Parkinson attraverso i valori di ferro, si può parlare di una relazione tra valori di ferro nel sangue e Parkinson”, dichiara Irene Pichler che riassume: “Basandoci sul nostro studio non possiamo ancora elaborare delle raccomandazioni. Le prossime ricerche avranno il compito di chiarire esattamente quali meccanismi biologici ci siano dietro e perché elevati valori del ferro possano proteggere dal Parkinson”.
Lo studio è stato pubblicato dalla rivista medica “PLOS Medicine” ed è accessibile online all’indirizzo:
Il Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale ad oggi incurabile che consiste nella morte delle cellule del cervello che producono dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore che trasmette ai muscoli l’impulso di muoversi. I sintomi della malattia sono legati alla perdita del controllo sui muscoli e si traducono in rigidità, tremori, disturbi dell’equilibrio.
Ferro:
Viene utilizzato dal corpo per la creazione delle proteine e la rigenerazione dei globuli rossi e dei muscoli.
Valori normali del ferro: donne 50-170 microgrammi/dl, uomini 80-200 microgrammi/dl EURAC RESERCH
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