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Ricerca italiana è tra le migliori al mondo. Al Policlinico di Milano una nuova sperimentazione
L’emofilia è una malattia che ha cambiato la storia dell’uomo: ne era colpito ad esempio il principe Leopoldo, figlio della regina Vittoria d’Inghilterra, e arrivò a toccare anche gli eredi al trono di Russia e Spagna. Da tempo, però, è l’uomo ad aver cambiato la storia dell’emofilia: se ancora nel 1960 l’aspettativa di vita degli emofilici non superava i 30 anni, ad oggi le cose sono cambiate parecchio, e in meglio. La malattia non è ancora stata sconfitta, ma i farmaci e le biotecnologie hanno migliorato la qualità di vita dei pazienti in modo sensibile, tanto che oggi hanno un’aspettativa di vita normale. E anche se la sfida con la malattia non è ancora stata completamente vinta, le premesse ci sono già tutte: gli ultimi 30 anni di ricerca hanno cambiato davvero la storia della patologia, soprattutto quella italiana che è ai vertici del mondo; e le scoperte più recenti, come i fattori ‘a lunga durata’ e la terapia genica, ne cambieranno anche il futuro.
Di tutto questo si è parlato al convegno di Roma in occasione della decima Giornata Mondiale dell’Emofilia. Il convegno, organizzato dalla Federazione delle Associazioni degli Emofilici FedEmo, ha riunito i massimi esperti del settore per parlare della ricerca in Italia, delle scoperte che si sono compiute fino ad oggi, ma anche di quale sarà il futuro dei ricercatori nella loro lotta contro questa patologia.
L’emofilia è in realtà un insieme di malattie, nelle quali i pazienti sono privi del tutto o in parte di una delle proteine responsabili della coagulazione del sangue. Quella di tipo A, la più comune, è dovuta all’assenza o al deficit del fattore VIII della coagulazione, mentre l’emofilia B è dovuta alla carenza del fattore IX. Questo significa che anche la più piccola ferita, sia esterna che interna, non può rimarginarsi e dà luogo ad emorragie. Nel 1977 sì compì il primo significativo passo verso la cura di queste patologie: uno studio italiano individuò un nuovo farmaco, la desmopressina, che ne ha di fatto rivoluzionato la terapia. Si tratta di una molecola sintetica in grado di stimolare la produzione del fattore VIII: “Questo permise non solo di ridurre l’uso dei plasma derivati – spiega Pier Mannuccio Mannucci, direttore scientifico della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano e tra gli autori di questa scoperta – ma anche di contenere i rischi di infezioni e i costi sanitari. Inoltre, utilizzata negli anni dell’esordio dell’AIDS, ha permesso di ridurre sostanzialmente l’incidenza in Italia dell’HIV rispetto agli Usa”. La ricerca italiana sull’emofilia è tra le migliori al mondo: tra i maggiori esperti per quantità e qualità della produzione scientifica ci sono quattro scienziati del nostro Paese (Franchini, Lippi, Mannucci, Santagostino), e due di questi lavorano al Policlinico di Milano. “Questo – aggiunge Mannucci – nonostante in Italia si spendano solo 17 miliardi per la ricerca contro, ad esempio, i 71 della Germania. Più in generale, nel 2012 l’Italia ha prodotto il 3,8% delle pubblicazioni scientifiche mondiali e ha generato il 6% delle citazioni, con una produzione che è sei volte superiore alla media mondiale”.
In questi anni i successi della scienza nel campo dell’emofilia sono stati diversi. Negli anni ’80 e ’90 è stato possibile clonare i geni del fattore VIII e del fattore IX della coagulazione, arrivando poi a produrne una versione ricombinante grazie alle biotecnologie: in questo modo è stato possibile eliminare le infezioni e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Gli emofilici, però, devono sottoporsi a numerose iniezioni periodiche per far fronte alla loro carenza di fattori della coagulazione, arrivando anche a 120 somministrazioni l’anno. Il futuro della terapia, quindi, è proprio quello che agisce su questo fronte: “Nel 2012 – racconta Mannucci – è stato dimostrato che un nuovo prodotto, il fattore IX ‘a lunga durata’, è in grado di ridurre le iniezioni necessarie a 30 l’anno. Inoltre, nuove speranze arrivano dalla terapia genica, che usa dei virus resi inoffensivi per iniettare nelle cellule dei geni ‘corretti’, e ripristinare quindi la produzione dei fattori di coagulazione nei pazienti che ne sono privi”. Al momento le sperimentazioni sono state condotte con successo sui topi e sui cani, e in Inghilterra si è svolta una prima sperimentazione su 10 persone che ha permesso di sospendere la profilassi con il fattore di coagulazione.Anche in Italia sta per iniziare una sperimentazione, tra Policlinico di Milano e Ospedale San Raffaele, che utilizzerà un approccio di terapia genica. “Negli ultimi 30 anni – conclude l’esperto – la ricerca sull’emofilia ha fatto progressi enormi, e non c’è dubbio che al momento, tra le più frequenti malattie nelle quali è implicato un solo gene (1), abbia a disposizione le cure piu efficaci e sicure. Ma per mantenere alto il livello delle cure sono fondamentali due cose: la collaborazione internazionale tra i ricercatori, e il tenere alto l’interesse e le competenze in questo settore. I ricercatori italiani hanno tutte le carte in regola perché si arrivi un giorno a battere questa malattia una volta per tutte”.
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