In Europa la sopravvivenza per i principali tumori ematologici è aumentata
Pubblicati su The Lancet Oncology i risultati di uno studio guidato dai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma che dimostrano che negli ultimi 11 anni in Europa, grazie anche a nuovi farmaci a bersaglio molecolare, la sopravvivenza ai tumori del sangue è costantemente in aumento. Per la maggior parte delle patologie studiate l’Italia è in media o superiore all’ Europa.
Sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet Oncology gli ultimi risultati dello studio europeo EUROCARE-5. Il lavoro condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma ha dimostrato che in Europa la sopravvivenza per i principali tumori ematologici è aumentata nel corso degli ultimi 11 anni dal 10 al 20%, a seconda del tipo di neoplasia.
Lo studio EUROCARE-5 ha analizzato i dati di 30 registri di tumori in 20 paesi europei, confrontando la sopravvivenza dopo 5 anni dalla diagnosi di 560.400 pazienti di età superiore ai 15 anni con tumore del sangue diagnosticato tra il 1997 e il 2008, seguiti fino alla fine del 2008.
Dal 1997 al 2008 gli incrementi maggiori della sopravvivenza si sono avuti in particolare per i linfomi di tipo diffuso (si è passati dal 42% nel 1997 al 55% nel 2008), follicolare (da 59% a 74%), per la leucemia mieloide cronica (da 32% a 54%) e per la leucemia promielocitica acuta (da 50% a 62%). Aumenta anche la sopravvivenza per il linfoma di Hodgkin (da 75% a 79%), per la leucemia linfatica cronica (da 66% a 69%), il mieloma multiplo (da 30% a 40%), e la leucemia linfatica acuta (da 30% a 41%).
Nonostante il miglioramento generalizzato, persistono notevoli differenze fra le aree geografiche esaminate. Questo divario risulta evidente soprattutto tra le Regioni dell’Europa dell’Est rispetto alle altre.
Ma come si colloca l’Italia in questo scenario? “Nel nostro Paese – spiega Milena Sant, Direttore di Struttura Complessa Epidemiologia Analitica e Impatto Sanitario dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore ematologico diagnosticato nel periodo di studio è soddisfacente rispetto agli altri paesi. Ad esempio, la sopravvivenza a 5 anni per linfoma di tipo diffuso, la forma più frequente di linfoma non-Hodgkin, aumenta dal 42% al 55%, in media con l’Europa, mentre per la leucemia mieloide cronica la sopravvivenza in Italia è superiore alla media europea passando dal 39% registrato nel 1997 al 59% nel 2008. Lo stesso avviene per il mieloma multiplo: la sopravvivenza è costantemente superiore alla media europea e aumenta dal 45% al 50%”.
Nel resto d’Europa Paesi quali Islanda e Norvegia hanno la sopravvivenza più alta della media, Nel Regno Unito la sopravvivenza per leucemia è in media mentre quella per linfoma e mieloma multiplo è bassa. In tutti paesi dell’Est (Bulgaria, Estonia,Lituania, Polonia, Slovacchia) la sopravvivenza è significativamente inferiore alle medie europee e della maggior parte dei Paesi, nonostante in questi paesi vi sia stato comunque un forte incremento rispetto al passato.
In generale i miglioramenti più marcati si sono avuti nei paesi dell’Europa del Nord e centrale. Dati i livelli già buoni in passato l’aumento della sopravvivenza è stato meno evidente nel Sud Europa; mentre nel Regno Unito, nonostante gli incrementi per la maggior parte delle neoplasie esaminate, la sopravvivenza è inferiore a quella rilevata in altri Paesi.
In tutta Europa il tasso di sopravvivenza diminuisce con l’avanzare dell’età, ma anche per i pazienti di oltre 75 anni, c’è un aumento di circa il 10% soprattutto per alcune patologia quali i linfomi non – Hodgkin e la leucemia mieloide cronica.
“Il miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con neoplasie ematologiche – spiega Milena Sant – coincide con l’approvazione dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare, in particolare rituximab e imatinib, impiegati a partire dal 2000 in Europa e negli USA. Le differenze fra aree geografiche – conclude la ricercatrice – sono in larga parte ascrivibili a disuguaglianze nella disponibilità di cure appropriate e nell’ utilizzo di nuovi trattamenti. Altri fattori potrebbero però contribuire a spiegarle: diagnosi tardiva, sottostima dei sintomi soprattutto nei pazienti anziani o presenza di altre patologie concomitanti alla neoplasia”.
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