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Nei primi miliardi di anni dell’Universo, neanche i buchi neri supermassicci sono stati in grado di bloccare in modo efficiente il forsennato processo di formazione stellare presente nelle prime galassie. Questo lo scenario che emerge da uno studio a guida INAF in pubblicazione sulla rivista MNRAS
Ebbene sì, come accade ogni quattro anni, i mondiali di calcio bussano alle porte e si preparano a prendere il via. Per l’edizione 2014, ospitata dal Brasile, si parte 12 giugno: trenta giorni durante i quali le migliori squadre del pianeta si affronteranno per contendersi l’ambito trofeo, inchiodando miliardi di tifosi davanti allo schermo. C’è però una partita che si gioca non su scala planetaria, ma cosmica, e va avanti ininterrottamente da miliardi di anni, coinvolgendo praticamente tutte le galassie disseminate nell’universo. Questo match vede due contendenti che sono proprio gli attori principali di ciascuna galassia, ovvero le stelle e i buchi neri supermassicci che si trovano al loro centro. E la posta in palio non è da poco: riuscire a formare nuove stelle, oppure no. Gli astrofisici hanno ormai imparato che la presenza di un buco nero di grande massa, che può raggiungere anche miliardi di volte quella del Sole, governa in modo decisivo l’evoluzione della galassia ospite. In particolare quelli attivi (AGN), ovvero quelli che emettono enormi quantità di energia grazie all’accumulo di materia su di loro, possono rallentare o addirittura bloccare completamente la formazione di stelle nella loro galassia. Questo almeno sembra accadere nel nostro vicinato galattico. Ma le cose potrebbero essere meno scontate spingendoci più lontano e andando quindi a ritroso nella storia del nostro universo, come mettono in evidenza i risultati dello studio guidato da Manuela Magliocchetti, ricercatrice dell’INAF-IAPS di Roma, in pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e a cui hanno partecipato Paola Santini, dell’Osservatorio Astronomico di Roma dell’INAF insieme a colleghi dell’Università di Bologna, del Max-Planck-Institut für extraterrestrische Physik in Germania e del CEA-Saclay in Francia.
Usando dati provenienti da misure nel lontano infrarosso ottenute dal satellite Herschel dell’ESA e realizzate nella porzione di cielo passata al setaccio dal radiotelescopio VLA nell’ambito della campagna osservativa COSMOS, i ricercatori hanno infatti scoperto che le stelle si formano ad un ritmo sostenuto anche in galassie che possiedono un AGN che emette radiazione nella banda delle onde radio. Un fatto sorprendente, poiché queste sorgenti si trovano in galassie che finora venivano etichettate dagli addetti ai lavori come red and dead, ovvero rosse e morte, proprio perché si riteneva contenessero principalmente stelle vecchie e dove la formazione di nuovi astri si sarebbe interrotta molto tempo fa. Questa proprietà si accentua osservando oggetti sempre più lontani.
“Se ad esempio – spiega Magliocchetti – un tipico AGN che emette in banda radio nell’universo locale ha circa il 10% delle probabilità di esistere in una galassia che allo stesso tempo forma stelle, a redshift tra 1 e 2 (ovvero tra i 6 ed i 3 miliardi di anni dal Big Bang), tale probabilità sale al 40%, fino ad arrivare a circa il 60% per redshift maggiori di 2 (ovvero oltre 10 miliardi di anni fa), cioé in epoche che corrispondono a circa il 20% dell’età del nostro universo”. Insomma, nel lontano passato i buchi neri supermassicci avevano una minore capacità di inibire la formazione stellare. Tantp che, ogni dieci galassie, risultava essere ben sostenuta, mediamente, in sei di loro e poco o per niente solo in quattro.
Una possibile spiegazione di quanto scoperto è legata al fatto che in epoche più remote i processi di formazione stellare all’interno delle galassie erano così intensi che anche un importante “intervento di spegnimento” da parte del buco nero centrale per mezzo di fenomeni radiativi o meccanici legati alla presenza di getti lanciati ad enormi velocità all’interno della galassia stessa, non era in grado di funzionare in maniera efficace. Invece, man mano che ci si sposta in epoche più vicine alla nostra, l’attività di formazione stellare all’interno delle galassie studiate perde potenza, così che anche una modesta attività dell’AGN nel loro nucleo risulta sufficiente per far sì che la galassia non formi ulteriori stelle. “E’ un po’ come provare a dare un calcio ad una montagna” commenta Magliocchetti. “Per quanto forte sia il calcio, la montagna non si sposterà. Al contrario, anche un semplice colpo di dito può far muovere una biglia”.
I risultati ottenuti dal team aggiungono un altro tassello allo studio dell’interazione – definita con il termine inglese di feedback – tra i meccanismi che regolano l’accrescimento di materia sui buchi neri giganti al centro della maggior parte delle galassie nell’universo e attività di formazione stellare all’interno delle stesse galassie, proprio nell’epoca cruciale nella storia dell’Universo che corrisponde al massimo di attività per entrambi i fenomeni.
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